Una notizia che divide
La Corte dei Conti non ha concesso il visto alla delibera Cipe che avrebbe dovuto dare il via libera definitivo al progetto del Ponte sullo Stretto.
Un colpo di scena (?) che, prevedibilmente, ha subito diviso l’opinione pubblica.
Da un lato chi ha esultato, parlando di una «vittoria per il Sud», come se si fosse scampato un pericolo. Dall’altro chi ha reagito con amarezza, vedendo svanire l’ennesima possibilità di crescita per due regioni – Calabria e Sicilia – che da decenni aspettano un segnale concreto di sviluppo.
Il valore del dubbio
Eppure, nel rumore delle tifoserie contrapposte, forse manca qualcosa: il dubbio.
Il dubbio che nessuno – né chi dice «sì a tutti i costi» né chi ripete «mai e poi mai» – possa davvero pretendere di possedere la verità.
Perché su un tema come questo, così complesso e carico di storia, la verità è come lo Stretto stesso: mutevole, profonda, difficile da attraversare.
Un “no” che merita di essere analizzato
Chi oggi festeggia per lo stop al progetto, dovrebbe chiedersi onestamente: siamo davvero sicuri che quest’opera non serva?
Siamo certi che rinunciarvi sia nell’interesse della Calabria, della Sicilia e dell’Italia intera?
Siamo pronti ad assumerci la responsabilità di dire “no” per sempre, senza la possibilità di tornare indietro?
Tra promesse, sprechi e sogni
Negli anni il Ponte è diventato un po’ tutto e il contrario di tutto: promessa elettorale, simbolo di sprechi, sogno di progresso, incubo ambientale.
Ma dietro le polemiche e le strumentalizzazioni politiche, ci sono persone vere, migliaia di cittadini che in buona fede hanno creduto in quel progetto.
Persone che hanno inviato candidature, curriculum, speranze. Operai, ingegneri, ristoratori, impiegati, giovani che avrebbero voluto lavorare in un’opera che – piaccia o meno – rappresentava un’occasione concreta di lavoro e crescita.
E non è poco, in un Sud dove le occasioni spesso mancano.
Il diritto di criticare, ma anche il dovere di distinguere
Certo, è giusto e doveroso chiedere che un progetto di tale portata sia aggiornato, serio, sostenibile. È giusto pretendere trasparenza, sicurezza e rispetto per l’ambiente.
Ma qui occorre fare una distinzione netta e onesta.
Ci sono coloro che oggi dicono “no” al progetto, perché lo ritengono non aggiornato, non conforme, tecnicamente superato. Una posizione legittima, che parte dall’analisi e dal merito.
E poi ci sono coloro che dicono “no” al Ponte in sé, per ragioni puramente ideologiche: perché credono che, in questa zona, l’opera non si possa fare a prescindere, e che anche se il progetto venisse profondamente rivisto, corretto e migliorato, resterebbe comunque irrealizzabile o inaccettabile.
Questa è una differenza che andrebbe riconosciuta e tenuta presente nel dibattito pubblico, perché non tutte le contrarietà hanno lo stesso peso o la stessa natura.
E dopo il “no”?
E anche qui, la domanda torna: se il Ponte sarà definitivamente accantonato, possiamo essere certi che i nostri amministratori (dai politici locali agli europarlamentari) si batteranno con la stessa forza per ottenere alternative?
Perché è facile dire “no” a un’opera, più difficile proporre un “sì” a qualcosa di diverso, ma altrettanto concreto: ferrovie moderne, porti efficienti, collegamenti veri, infrastrutture reali che servano davvero a unire, non solo geograficamente, il Sud con il resto del Paese.
Il rischio, altrimenti, è quello di festeggiare un blocco e poi restare fermi.
E il Sud, lo sappiamo, di immobilismo è già malato da troppo tempo.
Mettersi in discussione
Personalmente, lo confesso, negli anni mi sono trovata più vicina al “no”.
Ma col passare del tempo ho imparato a guardare le cose con maggiore distacco e consapevolezza.
Non ho mai avuto la presunzione di dire che il Ponte sia inutile, come non credo che sia la soluzione a tutti i mali.
Credo invece che, come cittadini e come comunità, dobbiamo avere il coraggio di porci domande, anche scomode.
Perché solo chi si mette in discussione cresce.
E solo chi non pretende di avere sempre ragione può davvero capire la complessità delle scelte che ci riguardano tutti.
Il ponte che serve davvero
Il Ponte sullo Stretto divide, certo.
Ma forse il vero ponte che dovremmo costruire è un altro: un ponte di pensiero, di dialogo, di rispetto reciproco.
Un ponte che unisca il coraggio delle idee alla responsabilità del dubbio, la voglia di progresso al dovere della riflessione.
Un ponte che ci permetta, finalmente, di smettere di guardare solo ciò che ci separa, iniziando a guardare ciò che, nonostante tutto, ci tiene uniti.
Potrebbe interessarti

Topi a scuola, chiusa per due giorni la Primaria Villa Centro: intervento urgente di derattizzazione e sanificazione
Francesca Meduri - 12 Novembre 2025VILLA SAN GIOVANNI – Scuola chiusa per due giorni nel cuore di Villa San Giovanni. Il plesso della Primaria Centro…

Villa San Giovanni e l’omertà del linguaggio: la criminalità che non si chiama mai per nome
Francesca Meduri - 12 Novembre 2025di FRANCESCA MEDURI Negli ultimi tempi, a Villa San Giovanni, una nuova escalation criminale ha riportato alla luce ferite che…

Campo Calabro, chiude per lavori l’ufficio postale: il sindaco Repaci protesta
Francesca Meduri - 12 Novembre 2025Arriverà in Consiglio comunale il prossimo 20 novembre la comunicazione di Poste Italiane sulla chiusura per lavori dell’ufficio postale…




