Il comitato spontaneo dei Bergamotticoltori di Reggio Calabria scrive direttamente al ministro Lollobrigida invitandolo sul territorio ed invia una specifica petizione firmata da 170 aziende e operatori del comparto, rappresentativi del territorio bergamotticolo dei 50 comuni della provincia di Reggio Calabria, «scontenti delle associazioni di categoria, delle istituzioni locali, dell’inutilità del Consorzio del Bergamotto e delle recenti menzogne diffuse da parte del Consorzio di tutela dell’essenza DOP». La petizione è stata inviata anche al governatore della Calabria Roberto Occhiuto e ad altri rappresentanti istituzionali. La raccolta delle firme continuerà anche nelle prossime settimane.
Petizione per il bergamotto reggino
«Il comparto storico del bergamotto di Reggio Calabria è nuovamente in crisi. Circa 1.200 ettari di agrumeti dell’area vocata (50 comuni tra il tirreno e lo jonio reggino), conosciuti per la loro unicità nel mondo sin dal 1700 e costituenti una grande risorsa di biodiversità, sono a rischio sia economico che climatico. Il prodotto fresco è pressoché invenduto in quanto la filiera agricola ancora una volta è stretta nella morsa industriale dell’essenza (olio essenziale): è la cosiddetta “borghesia del bergamotto” che decide se e quanto pagare il frutto fresco, se acquistarlo oppure non farlo raccogliere e lasciarlo invenduto sulle piante. L’essenza DOP esistente dal 2001 è risultata completamente inutile in quanto la stessa finisce nei profumi e nella cosmesi, quindi non ha nulla a che fare con i pregiati prodotti agroalimentari DOP e IGP che l’Italia vanta in Europa e nel mondo. Lo stesso consorzio di tutela dell’essenza DOP è stato sospeso più volte dal Ministero per mancanza di certificazione e non presenta nessuna utilità e rappresentatività (ca. 20 soci). Ci si chiede come sia possibile che su una produzione media annuale di 165.000 kg di olio essenziale di Bergamotto reggino, nel mondo se ne commercializzino ben 4 mln di kg! Inoltre l’essenza Dop in 20 anni è stata certificata solo per alcune decine di kg ottenute, a testimonianza dell’inutilità di tale “sistema” ancora in auge. Ci si chiede quale sia la finalità e lo scopo reale di tale consorzio di tutela. Ci si sarebbe aspettati da un ventennio una vera attività a tutela dei produttori.
Sappiamo che nel 2021 è stata presentata al Mipaaf la richiesta di registrazione dell’IGP “Bergamotto di Reggio Calabria”, approvata dalla Regione Calabria e con istruttoria conclusa al Ministero, che consideriamo, oggi più di ieri, uno strumento importante per valorizzare e salvaguardare un prodotto di qualità; la concorrenza sleale e quella extra territoriale sta rovinando nel suo valore il Bergamotto di Reggio Calabria, approfittando della nomea che il prodotto in tanti decenni ha conquistato. Tale concorrenza crescente incrementerà lo stato di crisi già nel prossimo anno. L’ottenimento dell’IGP del frutto e dei suoi derivati tutelerà invece una volta per tutte, seriamente e immediatamente, una produzione che da sempre è alla base dell’economia rurale del territorio e consentirà di poterla far conoscere in Europa e non solo, visto che i grandi acquirenti del prodotto fresco richiedono proprio l’IGP. L’Unione Europea da più di un decennio punta all’IGP per l’ortofrutta e alla DOP per le altre produzioni: il contrario sarebbe anacronistico in ogni caso.
Chiediamo in maniera accorata, con la presente petizione, di accelerare l’iter dell’IGP promosso nel 2021 da un apposito Comitato Promotore (ca. 300 aziende ed enti per più di 500 ettari) e di individuare ulteriori azioni di salvaguardia e valorizzazione concreta per una filiera, quella agricola e del food, che merita finalmente la giusta attenzione. Una filiera che vuole agire dal basso ma che spesso è soggetta a scelte dall’alto chiaramente influenzate da “poteri” e interessi consolidati, che agiscono ancora oggi non certo a tutela degli agricoltori, nel silenzio di molti enti, istituzioni, sindacati e associazioni di categoria, che affrontano il problema in maniera superficiale e solo con fini “politici” nel nome di presunte unitarietà».
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